Riconoscere i conflitti interiori: psicologia. Estratto dal libro: ‘Psicosintesi – Armonia della vita’ di Roberto Assagioli
“Una delle maggiori cecità, delle illusioni più nocive e pericolose che ci impediscono di essere quali potremmo essere, di raggiungere l’alta mèta a cui siamo destinati, è di credere di essere per così dire “tutti d’un pezzo”, di possedere cioè una personalità ben definita.
Infatti, generalmente tutta la nostra attenzione, il nostro interesse, la nostra attività sono presi da problemi esterni, pratici, da compiti e mète che sono fuori di noi. Ci preoccupiamo di guadagnare, di possedere dei beni materiali, di ottenere il successo professionale o sociale, di piacere agli altri, oppure dominarli. Presi da questi miraggi, trascuriamo di renderci conto di noi stessi, di sapere chi e che cosa siamo, di possederci.
E’ vero che in certi momenti siamo obbligati ad accorgerci che vi sono in noi elementi contrastanti e dobbiamo occuparci di metterli d’accordo; ma siccome è una constatazione sgradevole e scomoda, un compito che ci appare difficile, complesso, faticoso, un penetrare in un mondo che ci è quasi sconosciuto, in cui intravediamo un caos che ci turba e ci impaurisce, noi rinunciamo ad entrarvi, cerchiamo di pensarci il meno possibile.
Tentiamo di “tener buone” le diverse tendenze che accampano pretese, che esigono soddisfazione, facendo volta a volta delle concessioni ora all’una ora all’altra, a seconda che ci appaiono più forti ed esigenti. Così a volte appaghiamo, entro certi limiti, i nostri sensi, i nostri istinti; altre volte facciamo quello a cui ci spinge una passione, un sentimento; in certi momenti ci prendiamo il lusso di seguire (fino ad un certo punto!) gli incitamenti della nostra coscienza morale, cerchiamo di realizzare in qualche modo un ideale.
Ma non andiamo a fondo in nessuna direzione, ci destreggiamo con una serie di ripieghi, di compromessi, di adattamenti e, diciamolo pure, di ipocrisie con noi stessi e con gli altri.
Così tiriamo innanzi alla meglio e, quando le cose ci vanno bene, ci congratuliamo con noi stessi della nostra abilità, della nostra furberia, del buon senso, dell’equilibrio di cui diamo prova. Però spesso questi metodi, che si potrebbero chiamare di ordinaria amministrazione della vita, si dimostrano inadeguati ed insufficienti. Le concessioni che facciamo non soddisfano, anzi suscitano nuove e crescenti pretese. Mentre si accontenta una parte, altre insorgono e protestano; se ci abbandoniamo alla pigrizia, al dolce far niente, l’ambizione ci assilla; se ci concediamo all’egoismo, la coscienza ci disturba; se allentiamo le redini ad una passione, essa ci prende la mano, ci fa ruzzolare in un precipizio; se comprimiamo troppo duramente una parte vitale possiamo far insorgere disturbi neuro-psichici.
In questo mondo si vive in uno stato di perenne instabilità, di disagio, di mancanza di sicurezza. E’ facile constatarlo, osservando con un po’ d’attenzione e di sincerità noi stessi e gli altri.
Se non vogliamo restare in questo stato così poco soddisfacente ed in realtà non rispondente alla nostra dignità di esseri umani, dobbiamo affrontare coraggiosamente la situazione, guardare in faccia la realtà, anche in fondo al problema, per trovare e poi attuare soluzioni radicali e decisive. […]
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Riconoscere il caos
Il primo mezzo in tale via di chiarezza e di verità consiste nel riconoscere il caos, la molteplicità, i conflitti che esistono in noi. Non mancano a tale riguardo avvertimenti e testimonianze. Il Padre Sertillange, dice: “In realtà vi è in moi una molteplicità quasi indefinita. Noi siamo ‘legione’.”
Hermann Keyserling afferma non meno recisamente: “Ogni tendenza fondamentale è in realtà una entità autonoma, e le combinazioni, le condizioni e sublimazioni riproducono in ogni uomo una fauna interna, un regno animale, la cui ricchezza sta al pari di quella esterna. Veramente si può dire che in ognuno di noi ci sono sviluppati ed attivi, in varia misura, tutti gli istinti e tutte le passioni, tutti i vizi e tutte le virtù, tutte le tendenze e tutte le aspirazioni, tutte le facoltà e tutte le doti umane.”
Questo non deve meravigliarci, se pensiamo alla diversa e lontana provenienza degli elementi che da varie parti sono venuti a confluire per formare quello strano essere che ognuno di noi è.
Vi è anzitutto l’eredità remota. Siamo il risultato di una lunga evoluzione; elementi ancestrali, atavici, pullulano nei bassifondi della psiche e si rivelano indirettamente nei sogni, nelle fantasie, nei delirii; ma talvolta prorompono e travolgono. Furono studiati soprattutto da Jung, col nome di “inconscio collettivo.”
Vi sono poi elementi ereditari, familiari, che provengono dai genitori e dagli avi. Questo è spesso notato, ma forse meno osservato è il fatto che talvolta questi elementi saltano una o più generazioni. Caratteristiche dei nonni e talvolta di antenati più lontani riappariscono nei discendenti. Questo argomento è stato studiato particolarmente da Léon Daudet, uomo politico, giornalista, ma anche pensatore geniale, […].
Il ruolo dell’ereditarietà nella psiche
Nel libro L’Heredo egli [Léon Daudet] ha insistito – esagerando anzi – sull’importanza di questi elementi citando dati reali che meritano di venir meditati. Gli elementi ereditari non affiorano tutti insieme, ma si presentano bruscamente, come a ondate, in varie circostanze. Nell’infanzia in modo caleidoscopico, non persistente, talvolta nell’adolescenza affiorano ben definiti; altre volte si manifestano lentamente e si rafforzano nell’età matura. Questo gruppo di elementi derivano dal passato è già imponente e solo prendendo gli ascendenti più diretti ci sono decine di personalità e di influssi che confluiscono. E’ facile comprendere quale miscuglio eterogeneo ciò rappresenti!
Influssi esterni
Vi è poi l’ampio gruppo dei fattori derivanti dagli influssi esterni. Noi, psichicamente, non siamo “sistemi chiusi”. Vi è un continuo scambio di elementi vivi, di influssi profondi con altri esseri. Già fisicamente il nostro corpo non è isolato; esso subisce continui influssi meteorologici e cosmici.
Ma gli scambi e le interpenetrazioni di natura psichica sono ancora più intimi e profondi di quelli fisici. Spesso non si può dire in realtà dove cominci una persona e dove finisca un’altra. In certi gruppi bene affiatati, in una collettività organizzata, i limiti dell’io, della personalità dei loro membri, sono diffluenti, non nettamente distinti. Siamo proprio immersi in un’atmosfera psichica, nella psiche collettiva e nelle sue varie differenziazioni. […]
Influssi psichici prenatali e prima infanzia
Vi sono anzitutto gli influssi psichici prenatali, spesso trascurati, almeno praticamente, ma importantissimi, di cui si hanno chiare prove. Impressioni psichiche e stati d’animo materni si immettono, si radicano profondamente nella psiche dei figli. Di questo dovrebbero tenere il massimo conto le gestanti, evitando il più possibile gli influssi negativi ed esponendosi invece di proposito a quelli positivi.
Così pure gli influssi psichici della prima infanzia hanno una grande importanza, spesso un’azione decisiva nel plasmare tutto il resto della vita di un uomo. […]
Influssi collettivi e individuali
Vi sono poi continui influssi collettivi ed individuali, dai quali siamo alimentati (e spesso avvelenati) durante tutta la vita. Vi è uno spiritoo dell’epoca, vi è la mentalità di una generazione che, come una corrente impetuosa, a volte travolge senza resistenza molte persone che non hanno una costituzione psichica bene definita.
Dal lato individuale vi è il fascino di personalità vicine, che spesso plasmano o assorbono un essere più debole. Oppure il fascino di personalità potenti che formano quasi un modello a cui centinaia, migliaia di persone tendono – coscientemente o spesso incoscientemente – ad adeguarsi.
[…] Vi sono anche però elementi intrinseci, nostri, una parte individuale profonda che sentiamo spesso essere nettamente diversa da tutte le altre e più intima a noi. La sua origine è misteriosa, ma essa ci sembra la diretta espressione del nostro io più vero e profondo. Di qui le differenze fondamentali tra i figli di una stessa famiglia che sovente si sentono estranei gli uni agli altri ed ai genitori.
Quanti elementi di origine diversa, di valore diverso, di livello diverso! E questi elementi sono in continuo tumulto; ognuno di essi è qualcosa di vivo, quasi un’entità psichica, e come tale tende ad esistere e svilupparsi, a manifestarsi, ad affermarsi sopra e contro gli altri. La tendenza della vita è di conservare e accrescere se stessa; perciò una vera e propria “lotta per la vita” avviene in noi.
Le sub-personalità
Se non ci fosse che questo, esisterebbe però un caos irriducibile, un atomismo, una polverizzazione psichica. Ma in realtà non è così: quegli elementi non restano in noi isolati, essi tendono a consociarsi, ad organizzarsi. Per l’azione coordinatrice delle principali funzioni, dei più importanti atteggiamenti e rapporti umani che formano la trama e le linee direttive della nostra vita, essi tendono a formare delle vere e proprie sub-personalità, dei diversi “io” in noi. Oltre a ciò che noi siamo per noi stessi, vi sono dunque vari gruppi di “io” in noi.
Vi sono così un “io” filiale, un “io” coniugale, un “io” paterno o materno. Un uomo ha un insieme di sentimenti, di atteggiamenti, di rapporti, di comportamenti diversi, in quanto figlio, in quanto marito, in quanto padre, che formano altrettante sub-personalità di natura e valore diverso, anzi non di rado contraddittorio. Così un uomo può essere un ottimo figlio e cattivo marito, e viceversa. Una donna può essere cattiva moglie e buona madre. Un uomo timido e remissivo come figlio può essere prepotente, violento quale padre; una donna, ribelle come figlia può essere debole come madre.
Quindi questi atteggiamenti, questi rapporti, sono qualche cosa sui generis che formano vere sub-personalità in noi. Avvengono dei veri cambiamenti a vista, delle trasformazioni immediate, secondo la persona con cui ci mettiamo in rapporto vitale.
I diversi “io”
Vi sono poi: l'”io sociale”, l'”io professionale”, l'”io di casta”, l'”io nazionale”. William James va ancor oltre: “Un uomo ha tanti “io sociali” quanti sono gli individui che lo conoscono e portano l’immagine di lui nella mente. Toglierne l’immagine in uno qualunque di questi individui vale quanto perire egli stesso. Ma siccome gli individui che portano in loro quella immagine si dividono in tante classi, possiamo dire che un uomo ha tanti “io” quanti sono i gruppi di persone della cui opinione egli si preoccupa. La fama di un uomo buono o cattivo, il suo onore o il suo disonore, sono nomi che si applicano ad uno di questi “io sociali”. E l’io sociale particolare di un uomo, quello che egli chiama il suo onore, è d’ordinario una risultante di uno di questi sminuzzamenti dell’Io, è l’immagine propria qual è davanti agli occhi del suo gruppo, che lo esalta o lo abbassa secondo che egli si conforma o no a certi requisiti che possono non aver valore in altre condizioni di vita. Ciò che si potrebbe chiamare “l’opinione del club”, è una delle forze più potenti della vita sociale. Il ladro non ruba ai suoi simili, il giocatore paga i debiti di gioco anche se non è solito pagare gli altri; il codice d’onore della società è sempre stato nella storia pieno di concessioni e di restrizioni, obbedendo alle quali si poteva servire nel miglior modo questo o quello degli “io sociali”.
Il James è stato, in questo, precursore in Pirandello. Direi che la tesi principale di Pirandello nei suoi scritti è questa: ci sono tanti “io”, tanti esseri contraddittori in noi quante sono le apparenze, le immagino che si riflettono negli altri e che sono costruite dagli altri. Ed egli mostra come spesso questi “io” siano molto scomodi! Ecco un’altra complicazione che si aggiunge alle precedenti. Non solo abbiamo una congerie di elementi disparati in noi, ma tutti gli altri, con i loro rapporti con noi, proiettano si di noi una serie di “immagini”, ci vedono e ci sentono in modi diversi da quelli che siamo, e che contrastano con noi e tra loro. […]
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La molteplicità è ricchezza
Dopo aver visto coraggiosamente tutto ciò, non dobbiamo restarne turbati, scoraggiati o tanto meno impauriti; la molteplicità è grande, i conflitti sono numerosi e penosi; ma in fondo, questa molteplicità è ricchezza.
I grandi uomini sono stati spesso i più complessi, quelli che hanno presentato maggiori contrasti. Potrei fare una lunga enumerazione: basterà accennare a S. Paolo, al Petrarca, a Michelangelo, a Tolstoj, allo stesso Goethe.
Invece uomini naturalmente equilibrati lo sono spesso per “povertà interna”: sono meschini, ristretti, aridi, chiusi. Dunque non rammarichiamoci di questa ricchezza interna per quanto tumultuosa e scomoda.
Tuttavia essa non deve restare quale è attualmente; è possibile la coordinazione delle varie sub-personalità in una unità superiore. Questa non è una teoria, è un fatto. Molti – se pure relativamente pochi nella grande massa umana – l’hanno attuata, non in modo perfetto, ma abbastanza da apparire completamente diversi, dall’inizio alla fine dell’opera, da essere alla fine “rifatti”, “rigenerati”, trasformati. […]
L’unità è dunque possibile. Ma rendiamoci ben conto che essa non è un punto di partenza, non è un dono gratuito; è una conquista, è l’alto premio di una lunga opera; opera faticosa, ma magnifica, varia, affascinante, feconda per noi e per gli altri, ancor prima di essere ultimata.
Così intendo la Psicosintesi“.
(Tratto dal capitolo ‘L’animo molteplice’).