Ricerca della felicità dentro di noi. Indagine sul sé. Robert Adams.

113 – FELICITÀ
R.: Tutto quello che fate, o avete fatto fin dall’infanzia, era per trovare la felicità. Anche se vi dedicate al prossimo, ai poveri o malati, è anche per questo. Nulla nel mondo esterno vi darà la vera felicità.

Tutto cambia in continuazione.

Siamo come una cipolla: togliamo strato dopo strato, per arrivare al nucleo coperto dalla nostra ignoranza, dalle reazioni alle cose mondane: troviamo allora che la vera felicità non è fuori di noi e nulla può interferire con quella che possediamo già.

1- L’Universo non vi darà mai la felicità duratura.
2- La felicità è dentro di voi, sempre.
3- Come fare per conservarla, incarnarla?

Mi eleverò oltre il mondo, non correrò più in cerca altrove, non mi paragonerò più con nessuno, inizierò un sadhana e sprofonderò in me stesso: l’atma-vichara [indagine sul Sé] è la via più veloce.

Sapete che tanti ci sono riusciti e quindi anche voi potete viverlo, svegliandovi alla vostra vera natura: dovete essere determinati a scandagliare il vostro interno e a bypassare pensieri e opinioni.

Qual è la sorgente dell’IO? Continuate senza sosta, più che potete, che siate depressi, annoiati o stanchi.

(Robert Adams, dal libro ‘Satsang’)

La ricerca della felicità secondo Freud

Freud affrontò la nozione di felicità nel 1930 in Il disagio della civiltà. Questo saggio “si occupa di felicità, civiltà e senso di colpa”. È una verità lapalissiana dire che l’uomo aspira alla felicità, vuole essere felice e restare tale; ma sembra “che rendere felice l’uomo non faccia parte del disegno della ‘Creazione’”. Inoltre, questo “principio di piacere” è minacciato da un triplice punto di vista: dal corpo stesso, soggetto a malattie e sofferenze; dall’ostilità del mondo esterno, pieno di insidie ​​e fonti di fastidio; e non ultima, l’insoddisfazione che gli procurano i rapporti con gli altri. Il soggetto è stufo dell’altro che si mette sulla sua strada e “raziona” la sua “felicità”.

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Come potrà allora l’uomo trovare la felicità, dal momento che la sua condizione umana lo conduce costantemente verso nuovi disagi, altre disgrazie? Il soggetto è in perenne conflitto tra lo scopo della pulsione, che è la soddisfazione, e il muro della realtà con cui si confronta. 

Per compensare questa felicità “impossibile” ed evitare il dispiacere, il soggetto utilizza “metodi” con i quali “gli uomini si sono sforzati di ottenere la felicità e di tenere a bada la sofferenza.” Freud elenca un intero arsenale di “tecniche della felicità” per cercare di allontanarsi dalla sofferenza. Evoca il lavoro, il delirio, gli “scacciapensieri” della droga e dell’alcool, la sublimazione, la religione, l’arte e – non ultimo – l’amore, il paradigma della promessa di felicità.

Da parte sua, Lacan constata che “la felicità, in quasi tutte le lingue, si presenta in termini di ‘incontro’. C’è qualche divinità favorevole lì. Anche per noi la felicità è di buon auspicio, di buon auspicio e di buon incontro”. Si tratta spesso dell’incontro romantico, con i suoi corollari: amare ed essere amati. Nell’inconscio collettivo è sinonimo del compimento della felicità, tranne dove troviamo il dolore (lutto e abbandono) e la sua eterna turbolenza del desiderio, come nell’infedeltà.

Tuttavia, queste “soddisfazioni compensative” che la cultura offre, si rivelano restrittive e appaiono presto come altrettanti limiti alla ricerca del piacere.

Freud conclude che esistono “molte vie che possono condurre alla felicità così come è accessibile agli esseri umani, ma nessuna che vi conduca con assoluta certezza”.

La felicità “è possibile, per sua natura, solo come fenomeno episodico”. Alla fine, spetta a tutti cercare come diventare felici.

Nel costante conflitto e nella perenne aspirazione alla felicità, nasce una crisi interiore che a volte culmina in una ricerca della realizzazione spirituale. Ed è lì, che se l’uomo riesce ad addentrarsi, troverà le risposte ultime ai suoi desideri inappagati e inappagabili.

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