Meditazione sulla natura per ritrovare il contatto con se stessi.

Tratto dal libro ‘Manuale di Meditazione’ di Claudio Lamparelli

Meditazione sulla natura

Questo tipo di meditazione ha lo scopo di stimolare sensazione di piacevolezza che, partendo dal corpo, giunge a trasferirsi alla mente, favorendo la calma profonda. Per quanto possano essere negative le condizioni di partenza — stati di agitazione, di alienazione e di sofferenza — esiste sempre la possibilità all’interno di ogni uomo di ritrovare il senso originale dell’essere, la sorgente, l’«albero della vita», il «volto che avevamo prima di nascere». Tutto ciò è dentro di noi, è nascosto come quel tesoro di cui parla la Chandogya-upanisad; su di esso continuiamo a passare e a ripassare: lo cerchiamo fuori di noi, mentre si trova sepolto in noi.

Questa «essenza sottile» che anima tutto il cosmo, che pervade ogni cosa, questo «mondo del Brahman», «giace in realtà nel cuore», come atman. Se non si è capaci di scoprirlo all’interno, si può ricorrere alle risorse che ci offre la natura stessa. Benché la natura non sia sempre benevola, essa è comunque la nostra prima madre, la madre-terra, ciò che ci produce e che ci riassorbe in sé: ha insomma tutte le possibilità di soccorrerci nei momenti di crisi.

La meditazione sulla natura prevede un’immersione totale, una vera e propria fusione, un recupero della nostra stessa origine, dunque una reintegrazione del sé mutilato, ingabbiato e deformato dalla vita sociale.

Riscoprire il senso della vita

Dopo aver scelto l’ambiente che più preferiamo — il mare, la montagna, la Collina, la campagna, un lago, un fiume, un deserto, ecc. —, dobbiamo trovare un posto calmo e raccolto, lontano da strade, da rumori e dal passaggio della gente. Anche la ricerca del luogo adatto, la fatica e il tempo occorrente per raggiungerlo, fanno parte del percorso meditativo, come una specie di pellegrinaggio.

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Riscoprire il contatto con la natura è come riscoprire il senso della vita, la piacevolezza dell’essere. È certo che siamo fatti per gioire e per godere del mondo, non per essere ingabbiati da regole artificiali. L’uomo nevrotico, l’uomo infelice, l’uomo alienato, ha perso questa primaria capacità di godimento, e, se vuole guarire, deve ritrovare il rapporto prima con la natura esterna e poi con la propria natura interna.

Come meditare

Scelto il posto, il meditante si metterà nella posizione seduta, immobile, in un atteggiamento di attenzione. Osserverà le piante, l’erba, gli alberi, le foglie, i tronchi, l’acqua, la sabbia, i sassi, gli uccelli, gli insetti, le nuvole, l’orizzonte; percepirà gli odori e i profumi (dell’erba, della terra, dell’aria, ecc.); ascolterà i suoni (i canti degli uccelli, lo stormir di fronde, il gorgoglio dell’acqua, la risacca, ecc.); apprezzerà la particolare qualità dell’aria che respira e che gli entra in ogni poro; valuterà il caldo o il freddo, il vento sulla pelle, il panorama complessivo e tutto ciò che vorrà, socchiudendo ogni tanto gli occhi (per assaporare meglio le sensazioni) e lasciandosi alle spalle ogni altro pensiero.

A poco a poco, il corpo si rilasserà, il respiro si calmerà e la mente si rasserenerà. L’individuo si sentirà lontano dalla realtà di tutti i giorni e ridimensionerà le sue preoccupazioni.

«Ad ogni giorno bastino le ansie di quel giorno» dice il Buddha. E Gesù ribadisce: «A ciascun giorno basta la sua pena».

Contemplazione della natura: dall’esterno all’interno di noi stessi

L’osservazione della natura può durare a lungo, ed è facile dimenticarsi del tempo che scorre (anche questa è una forma di terapia). Finché sarà rivolta all’ambiente esterno, dobbiamo più propriamente definirla «contemplazione». Ma, alla fine, si sentirà che ciò che contempliamo non è solo qualcosa di esterno, bensì la nostra stessa natura. C’è come un passaggio attraverso la riflessione: anche noi siamo stati scimmie, rettili, pesci; anche noi siamo stati piante; le nostre cellule, i nostri costituenti fondamentali, sono gli stessi di quell’animale, di quel filo d’erba, di quella nuvola.

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«Ogni cosa è energia o manifestazione di energia» dichiara il Buddha, anticipando le concezioni della fisica moderna. «L’energia non si perde, l’energia non si crea.»

Siamo quindi tutti parenti, anzi siamo un’unica cosa, un unico grande organismo. Fra dieci o cent’anni al nostro posto potrà esserci un’altra persona che farà più o meno le stesse esperienze e compirà le stesse riflessioni. E noi, con tutti i nostri costituenti, saremo tornati a fonderci con la madre-terra, con il «grande Spirito», di cui — secondo il Buddha e secondo tanti altri mistici — ogni cosa è un ‘espressione.

Simili riflessioni sono rivolte a ridimensionare le ansie e le preoccupazioni da cui siamo assillati: il nostro piccolo o grande dramma è solo un attimo nell’infinito gioco divino (lila), nell’immensa e incessante danza cosmica. Ciò che importa è l’attimo presente, l’essere qui e ora, perché tutto è temporaneo, tutto è impermanente: il nostro io è come un’onda che si è sollevata un attimo dal mare e che, trascorso quell’attimo, si riabbasserà, tornerà a fondersi con la sostanza del tutto e proseguirà la sua corsa sotto una forma per ora inimmaginabile.

Ma quell’istante è molto importante: per noi è tutto. Non bisogna dunque lasciare che il nostro spirito — come dice il Buddha — «venga invischiato dalle circostanze», da avvenimenti privi di importanza. Dobbiamo raggiungere «ancora qui nel corpo» quella «condizione immortale, libera da attaccamenti, libera da afflizioni» che ci permette di essere pienamente presenti.

La meditazione sulla natura e nella natura ha un grande potere rigenerante e riequilibrante, e favorisce quella sensazione di benessere, di stare a proprio agio, nel posto giusto e nel momento giusto, che è la base della pace mentale. È con questo stato d’animo che possiamo dare l’avvio al processo meditativo […]

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La meditazione sull’albero

Se non ci si potesse recare in mezzo alla natura, basta anche una comune pianta o un alberello in un vaso, in casa o su un balcone. Si pensi al mito dell’albero cosmico o a quello dell’«albero della vita» nel biblico paradiso terrestre. Si ricordi l’illuminazione del Buddha verificatasi proprio sotto un albero o la morte di Gesù avvenuta sulla croce-albero. L’albero è il simbolo della vita stessa, con le sue opposte spinte: da una parte affonda con le radici nella terra e dall’altra è proteso con la chioma verso il cielo. In passato, alcune popolazioni hanno adorato «alberi sacri», totem, considerandoli manifestazioni o incarnazioni del divino.

Alcuni alberi raggiungono età di migliaia di anni: che cosa non sarebbe un uomo se potesse vivere altrettanto? Ecco perché il Buddha, dando dei consigli ai suoi seguaci, dice loro di cercarsi «un luogo appartato, un bosco, una grotta fra le rupi, una caverna di montagna, il folto di una foresta, un mucchio di erba nella pianura o il piede di un albero» e lì di «sedersi, piegare le gambe incrociate, drizzare il corpo eretto e porre di fronte a sé la propria consapevolezza».

Come dice la Katha-upanisad, «questo eterno agvattha [Ficus religiosa] con le radici in alto e i rami in basso, è la luce, è il Brahman».

(Tratto da Manuale di meditazione di Claudio Lamparelli)

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