L’opinione su noi stessi è, e dovrebbe essere, per noi indifferente. Eppure, ancora oggi, non è così. – Arthur Schopenhauer, ‘L’arte di ignorare il giudizio degli altri’

Spunti di riflessione
Quanto ci pesa il giudizio degli altri? Cerchiamo sempre l’approvazione esterna? Dal punto di vista psicologico, possiamo comprendere questa paura come una manifestazione del bisogno di appartenere e di sentirci parte di un gruppo, un desiderio che è alla base della psicologia umana.
Alfred Adler, uno dei fondatori della psicologia individuale, ci ricorda che l’individuo è spinto da un desiderio fondamentale di “sentirsi utile” e di contribuire al benessere della collettività. Il bisogno di sentirsi accettati da altri è una forma di ricerca di valore sociale. Secondo Adler, la nostra autostima è influenzata dalle percezioni che gli altri hanno di noi, e questo può portare a un continuo confronto sociale.
Adler parlava di un “senso di inferiorità”, una sensazione che può derivare dal non sentirsi all’altezza delle aspettative degli altri o delle proprie aspettative, e questo senso di inferiorità, se non affrontato, può sfociare in una ricerca incessante di approvazione esterna.
Insicurezza e paura di non essere accettati
La paura del giudizio altrui, quindi, è legata a questa insicurezza di fronte all’idea di non essere accettati o riconosciuti come validi nel nostro contesto sociale.
Inoltre, il concetto adleriano di “compensazione” è utile per spiegare perché alcune persone reagiscono in modo eccessivo alle critiche: esse cercano di compensare la loro sensazione di inferiorità, forse mascherandola con atteggiamenti di superiorità o con il desiderio di essere sempre accettate, senza mai mettersi in discussione.
Adler ci dice però che la vera forza dell’individuo risiede nel superare il desiderio di approvazione esterna e nell’affrontare la vita con un “sentimento di comunità” che non dipenda da ciò che gli altri pensano di noi. Tutto ciò consiste nel liberarsi del peso di ciò che gli altri pensano di noi come fonte principale di validazione, costruendo un’identità basata sulla propria realizzazione personale e sul contributo che possiamo dare agli altri, piuttosto che sul bisogno di essere apprezzati da tutti.
La citazione di Schopenhauer si colloca, quindi, in questo contesto della psicologia umanca che porta alla ricerca di approvazione e alla paura del giudizio. Questo deriva da una concezione distorta e irrealistica della nostra autostima.
Il vero equilibrio psicologico si raggiunge quando ci rendiamo conto che il nostro valore non dipende dal giudizio degli altri, ma dalla nostra capacità di essere in armonia con noi stessi e con la nostra comunità. Armonia che si può raggiungere dopo una schietta autoanalisi sulle nostre insicurezze e complessi di inferiorità.
Paura di essere etichettati
La paura di essere “etichettati” o di sentir parlare male di sé è un altro aspetto determinante legato alla paura del giudizio degli altri, che può avere profonde radici psicologiche.
L’essere “etichettati” comporta un’idea di identificazione con un giudizio esterno, che rischia di ridurre l’individuo a un singolo aspetto della sua persona. Se pensiamo a come funziona il giudizio sociale, possiamo osservare che, spesso, una persona che riceve un’etichetta negativa – che sia “egoista”, “incompetente”, “diversa” o altro – tende a sentirsi identificata con quella descrizione, anche se in realtà è solo una parte di sé. Questo tipo di etichetta crea una limitazione psicologica che può far sentire l’individuo come intrappolato in un ruolo che non corrisponde alla sua interezza.
Dal punto di vista adleriano, la paura di essere etichettati o criticati è legata all‘autopercezione di essere giudicati negativamente dal gruppo sociale a cui apparteniamo. Adler sottolineava quanto l’appartenenza al gruppo e il desiderio di “sentirsi parte” siano fondamentali per la costruzione dell’autostima.
Le etichette, dunque, minacciano questo senso di inclusione, portando l’individuo a temere che un giudizio negativo possa compromettere il proprio valore agli occhi degli altri, mettendo in discussione il suo ruolo sociale.
Inoltre, anche questa paura di essere etichettati è strettamente legata al concetto di “senso di inferiorità”. L’individuo potrebbe temere che, una volta etichettato, non potrà più essere visto in modo positivo, perdendo così la possibilità di riscatto sociale o di crescita personale. Questo timore può attivare una sorta di “auto-sabotaggio”, dove la persona, temendo di non essere accettata o di essere esclusa, può anche auto-limitarsi nel suo comportamento o nelle sue scelte, cercando costantemente di evitare il giudizio degli altri.
Dal punto di vista psicologico, imparare ad affrontare la paura di essere etichettati significa sviluppare una maggiore forza emotiva e una più forte consapevolezza del proprio valore. Quando una persona è in grado di accettarsi e riconoscere che il suo valore non è definito dai giudizi esterni, può iniziare a vedere le etichette e le critiche come aspetti che riguardano più chi le esprime che la propria identità.
Adler suggerisce che il superamento di queste paure risiede proprio nell’adozione di un atteggiamento proattivo nei confronti del nostro senso di comunità: il sentirsi utili, competenti e in grado di contribuire al benessere degli altri permette di andare oltre la paura di essere giudicati, poiché l’individuo comprende che il suo valore non dipende da come gli altri lo etichettano, ma da come egli stesso interagisce con il mondo e con gli altri in maniera costruttiva e autentica.