Liberarsi dalle cose inutili: perché è importante per il benessere psicologico?
“Tutto quello che non mi serve è solo un peso.” (Madre Teresa)
La citazione di Madre Teresa è diretta e chiara: ciò di cui non abbiamo giovamento diventa per noi solo un peso.
Disposofobia e decluttering
C’è in psicologia un comportamento che porta ad accumulare di tutto e si chiama disposofobia (in inglese Hoarding Disorder), una patologia che colpisce 2-5% della popolazione in Italia. E’ l’ossessione compulsiva per il collezionismo maniacale, ma nasce da carenze inconsce e rientra nelle cosiddette “patologie del vuoto”. Sono casi in cui la personalità del soggetto è “permeata dal senso di controllo, rigidità, in cui vi è una marcata difficoltà a poter riconoscere ed esplicitare il proprio livello emotivo.” (Cit. dall’articolo: L’accumulo compulsivo (Disposofobia) del dott. R. Karra)
In queste situazioni la persona ha un attaccamento agli oggetti che ha raccolto e non riesce a disfarsene in alcun modo.
C’è poi la tendenza opposta detta “decluttering” che si caratterizza per l’esigenza di liberarsi di tutto ciò che è superfluo per fare spazio all’ordine. Non si tratta solo di un ordine esteriore e materiale, ma il gettare via le cose in più è il simbolo inconscio di liberarsi dai pensieri e dalle preoccupazioni che attanagliano la mente. Si fa pulizia intorno ai propri spazi fisici, per fare ordine nella mente.
Come si trova il punto di equilibrio?
Premettendo che ognuno di noi è molto differente ed ha una percezione diversa dell’ordine e del disordine, nonché del senso di vuoto o di pieno, il vero nocciolo della questione è però quello di capire davvero il perché ci circondiamo di determinati oggetti o relazioni inutili e quando è il caso di sbarazzarcene.
Se si è afflitti da una vera patologia, è certamente necessario affrontare il problema in psicanalisi, ma se invece si tratta solo di una tendenza che non si può ancora definire compulsiva, possiamo aiutarci da soli.
Quando proviamo attrazione per un qualsiasi oggetto domandiamoci se ha un’utilità per noi, se abbiamo uno spazio in cui collocarlo, se davvero ci serve per stare bene o se serve solo a camuffare una nostra carenza emotiva. Possedere ciò che non ci occorre diventa un modo per darci un senso di appagamento momentaneo, che svanirà subito dopo aver dimenticato l’oggetto in qualche angolo caotico del nostro ambiente vitale. Ciò ci porterà a ripetere il comportamento e a rischiare di cadere nella trappola della compulsività.
Lo stesso vale per un comportamento che tende a voler l’eccessivo ordine e a distaccarsi da tutto, anche dai ricordi affettivi che possono essere rappresentati da un bene fisico. Anche in questo caso bisognerebbe farsi alcune domande sulla vera necessità di liberarsi da ogni cosa. C’è dietro un disagio, un desiderio di ripulire la propria mente e le emozioni? Se si riconosce che l’esigenza nasce da questo, cerchiamo di far venire “a galla” quali sono i pensieri che ci assillano e perché. Li risolveremo solo gettando via dalla finestra ciò che ci sembra inutile? Liberare le proprie stanze può in qualche modo aiutarci a pensare meglio?
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L’effetto catartico del buttare cose vecchie in psicologia
Lucia Larese, esperta di marketing che da anni si occupa del decluttering, spiega: “La filosofia del decluttering è particolarmente utile anche in un periodo di recessione come quello che stiamo attraversando – continua -. Il mio motto ‘evitare il superfluo per recuperare l’essenziale’ insegna a capire di che cosa abbiamo veramente bisogno e quindi dobbiamo per forza comprare. Al resto si può rinunciare”. E’ un processo psicologico inverso rispetto alla psicanalisi, secondo Larese: “In questo caso si parte dall’esterno, dalla realtà, per arrivare a riflettere sulll’interiorità”.
C’è anche un libro di Nagisa Tatsumi intitolato “L’arte di buttare” che spiega perché l’essere umano vuole possedere le cose: “[…] la logica che domina la nostra società consumistica: ci si sente realizzati possedendo ciò che si desidera. All’opposto, se perdiamo una cosa che ci appartiene proviamo un dolore pari a quello di chi perde una parte di sé.“
“Dobbiamo smetterla di accumulare oggetti in maniera indiscriminata e riflettere invece sul modo migliore di rapportarci a essi. Per questo motivo è fondamentale cambiare radicalmente prospettiva e – per prepararsi una volta per tutte all’azione del buttare – apprendere innanzitutto alcune tecniche necessarie.”
Uno dei consigli di Tatsumi è: “Dopo aver buttato ciò che non serve, adottare uno stile di vita volto al risparmio e al riciclo – in cui comprare solo il minimo indispensabile e pensare alla salvaguardia dell’ambiente – ci sarà di grande aiuto nel gestire le cose in nostro possesso.”
In tutto ciò, si deve capire qual’è la giusta via di mezzo che fa per noi. Se delle cose ci rendono davvero più sereni, più felici nell’averle intorno a noi, allora non bisogna forzarsi; forse non è arrivato il momento di staccarsene. Ma, sarà evidente che se ci troviamo in una condizione in cui la casa brulica di suppellettili e cianfrusaglie in ogni angolo e spigolo, allora si deve iniziare a fare pulizia.
Mentre ci sbarazziamo del superfluo ci chiederemo anche: quante volte abbiamo utilizzato quella cosa, che cosa ci tiene legati ad essa e se tenendola ancora avremo modo di usarla nell’immediato.
Quando saremo riusciti a fare ordine e pulizia e a trattenere con noi solo il necessario, ciò che ci piace avere intorno perché ci dà un senso di armonia, allora avremo una sensazione di purificazione interiore, a beneficio della nostra psiche.
Liberarsi dalle relazioni superflue e pericolose
Finora si è parlato di oggetti di cui sbarazzarsi, ma il discorso dell’ordine emotivo e psicologico abbraccia anche la nostra vita di relazione. Ritorna bene la frase di Madre Teresa citata all’inizio di questo articolo e cioè ciò che non ci serve diventa solo un fardello per noi.
Relazioni pericolose, non sane, superflue per la nostra sfera emotiva, dovrebbero subire il processo del “decluttering”.
L’accumulo compulsivo in fondo riguarda anche la nostra incapacità di relazionarci emotivamente in modo sano con l’esterno. Per risolvere il problema alla radice, si deve affrontare a 360° e quindi, significa capire se le nostre relazioni e i nostri attaccamenti, ci donano benessere o ci fanno soffrire, causando il circolo vizioso.
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